Disabilità: verso una nuova identità per un nuovo umanesimo inclusivo

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UMANESIMO DIGITALE 21-25 SETTEMBRE

La cultura della disabilità per un umanesimo inclusivo: questo l’argomento settimanale di Radio Spazio Noi inBlu per “La via della Sicilia per convenire a Firenze 2015”.


A riflettere sul tema, intervistate da Adele Di Trapani, sono Maria Rosa Foti, responsabile della Pastorale disabili dell’Arcidiocesi di Palermo, e Giovanna Gambino, neuropsichiatra e garante della disabilità della Regione Sicilia.


Cosa succede quando un figlio o un parente disabile “irrompono” nella famiglia? Si tratta innanzi tutto – sostiene Maria Rosa Foti – di dover rivedere equilibri e aspettative, ma anche di considerare la permanenza di uno stato di cose. Per combattere la condizione di isolamento del soggetto e di chi gli sta intorno, è necessario un atteggiamento della comunità che esalti l’unicità della persona, in modo da riformulare la vita di ognuno in base alle proprie potenzialità.
Nell’episodio del cieco nato, riportato nel Vangelo di Giovanni, alla domanda  su chi avesse peccato per provocare la cecità dell’infermo, viene risposto che egli è così non a causa di una punizione, ma perché si manifestassero le opere di Dio.
La società moderna è ancora afflitta dai pregiudizi che legano disabilità e punizione: in realtà, come fece notare uno psicologo con un gioco di parole, questa condizione può e deve tramutarsi da “sfiga” a “sfida”: per questo è necessaria una comunità attenta, accogliente e gentile. Si potrà così passare dalla fase della lotta e del rifiuto a quella dell’accettazione a quella, la più importante, che fa delle proprie debolezze dei punti di forza.
Le riflessioni proseguono prendendo spunto dalla prima lettera ai Corinzi, in cui San Paolo dice: “Quelle membra del corpo che sono più deboli sono le più necessarie”.
Chi ha un disabile all’interno del proprio nucleo familiare pensa spesso che soltanto lui avrà bisogno degli altri e non viceversa. Tuttavia, un esperimento di qualche anno fa di interazione tra carcerati e disabili, ha mostrato la reciprocità di un rapporto: i primi insegnavano a usare il computer ai sordociechi, che ricambiavano insegnando loro il proprio linguaggio. Seguendo le vie di Firenze, si potrebbe dire che i primi passi per rendere il disabile un soggetto attivo siano proprio Uscire (dall’utopia della perfezione) e Annunciare (la rivoluzione della valorizzazione di ogni essere umano).
Chi sostiene il disabile quando i genitori vengono a mancare? La soluzione è ancora in una delle cinque tracce del Convegno Ecclesiale Nazionale: abitare. Bisogna trovare il coraggio di abitare  la disabilità, di trasfigurarla e di prendere atto di come l’esistenza sia una co-esistenza. Il rapporto con chi è affetto da un trauma insegna ad apprezzare la gioia delle piccole cose e la semplicità. La società è chiamata ad attrezzarsi nel formulare politiche sempre più inclusive, che tengano conto anche del diritto al lavoro.


Nel suo intervento di venerdì, Giovanna Gambino risponde alla domanda: il concetto di disabilità è sinonimo di menomazione? Naturalmente no, ma la società ha bisogno di essere rieducata a riformulare questo concetto partendo proprio dall’abbattimento delle barriere e ritrovando l’importanza delle opportunità nelle differenze individuali.
Bisogna ridare identità e ruolo alla persona disabile, diritti ma anche doveri, non solo assistenza ma nuovi sostegni. Fare rete, insomma attraverso una politica delle buone prassi che coinvolga anche la famiglia. Spesso è infatti proprio dal nucleo familiare che parte l’isolamento, causato da una iperprotettività: anche in questo caso, bisogna insegnare la fiducia nei confronti del proprio figlio.

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